La storia del Teatro Mercadante s’inserisce in un quadro di avvenimenti storici e culturali di alto interesse che vanno di pari passo con le vicende di una città come Napoli, da sempre variegata nelle sue dominazioni e culla di concentrazioni artistiche che spetto l’hanno connotata quale capitale europea.












Con l’espulsione dei Gesuiti dal Regno di Napoli e la confisca dei loro beni, fu creato il "Fondo di separazione dei lucri" (1777-1778) gestito da una società militare che provvide alla costruzione del Teatro che prese il nome da questa (Teatro del Fondo).

L’iniziativa di dare alla città un altro organismo teatrale regio, benchè suggerita dai motivi speculativi del Fondo, evidentemente trovò immediati consensi in re Ferdinando IV che così poteva legare il suo nome al secondo teatro cittadino dopo il San Carlo.

Il Teatro del Fondo venne inaugurato il 31 luglio 1779 con L’infedele Fedele, libretto di G. B. Lorenzi, musica di Cimarosa. Tale opera venne in via eccezionale provvista di coreografie (di esclusivo appannaggio del Teatro San Carlo) per sottolineare l’importanza di un evento che si avvaleva del migliore musicista e librettista attivi a Napoli. E’ probabile pensare che il sovrano Borbone volesse destinare questo teatro alla rappresentazione di "opere buffe" e altri genere teatrali, a differenza del San Carlo dedicato all’"opera eroica". Lo stesso Lorenzi nella introduzione all’opera L’Infedele Fedele chiarisce a suo avviso che la destinazione del Teatro del Fondo <<servisse di un mezzano spettacolo, che discretamente partecipasse così dell’uno, che dell’altro fare, onde ciascuno avesse nella Capitale un teatro corrispondente al suo genio.>> (Dalla "fondazione del teatro alla rivoluzione del ’99" di Mauro Amato in Il Teatro Mercadante, la storia, il restauro a cura di Tobia R. Toscano - Electa, Napoli, 1989).

Tra l’altro l’apertura e l’ampliamento di altri teatri cittadini di indole privata (Teatro Fiorentini, Nuovo, San Ferdinando), rafforza l’ipotesi che i Borboni intendessero (instaurando un nuovo Teatro regio) dare a Napoli sempre più il volto di capitale europea).


Ciò evidenzia la consapevolezza della differenza di ruolo tra un teatro privato, come poteva essere il Nuovo o il Fiorentini, ed il Teatro del Fondo che, se pur affidato a gestione impresariale (come del resto il Teatro San Carlo) rimaneva pur sempre un teatro reale con tutta la maggior dignità che ciò comportava.

Il Fondo già dalla sua apertura si pose come teatro denso di avvenimenti e, anche se considerato di "supporto" al San Carlo, nelle mire del re Borbone rimaneva degno di alta considerazione.

Nel 1782 si rappresentò L’Astrologa di Francesco Bianchi su cui si appuntarono gli strali di Luigi Serio, censore degli spettacoli teatrali, ma nonostante le preoccupazioni del Serio sulle "sconcezze del libretto", il Re stesso, incuriosito da tale relazione, si precipitò alla prima dell’Opera in compagnia di ospiti di rango. Nella stagione 1784 si forma la migliore compagnia avuta sino a quel momento e tra i cantanti fa ritorno al Fondo Anna Benvenuti, coinvolta l’anno precedente in uno scandalo: la madre di Ascanio Caracciolo aveva pagato profumatamente sia la cantante che l’impresario del Teatro pur di allontanarla da Napoli, poiché aveva una relazione con il figlio.

L’ultimo impresario di quell’anno, Francesco Milza, fallì miseramente per l’alto costo della stagione tra le più qualitative del Teatro. Pertanto la Società del Fondo di Separazione fu costretta ad interessarsi in maniera più attiva della gestione e l’impresa venne affidata a Giuseppe Lucchesi Palli. Il rapporto venne regolato in maniera differente: all’impresario venne lasciato solo il compito di organizzare la stagione, gli oneri finanziari degli allestimenti vennero assunti dalla Società che introitò anche gli incassi.

Dell’amministrazione venne incaricato l’Abate Galiani consigliere economico della Società del Fondo della Separazione dei Lucri, scelto per la sua competenza teatrale. Galiani, infatti, alla sua attività di economista affiancava quella di autore teatrale-operistico. Si ricorda la collaborazione con il librettista Lorenzi ed il musicista Paisiello per il suo capolavoro Il Socrate immaginario.

Ma la gestione si rivelò comunque estremamente difficoltosa, anche a causa della morosità degli affittuari dei palchi: famiglie nobili, per i quali il pagamento dei palchi era l’ultima delle preoccupazioni. Inoltre il repertorio del Fondo mutò, passando dalla commedia per musica alle Opere serie, attestandosi in una scelta di avanguardia.

Con le Opere Sacre di Quaresima furono presenti alcuni elementi della compagnia di canto del San Carlo e la collaborazione si ebbe anche per le rappresentazioni dei balletti (introdotte nella stagione 1786-87) fino ad allora di esclusivo appannaggio del San Carlo e rigorosamente vietate negli altri teatri. Coreografo incaricato dei balletti, tranne poche eccezioni, fu Giovanbattista Giannini, lo stesso del San Carlo.

Nel 1799, con la caduta del regno e l’avvento della Repubblica Partenopea, il Teatro funzionò assumendo il nome di "Teatro Patriottico". Gli artefici della Repubblica furono tra coloro che attuarono un radicale cambiamento nella funzione dello spettacolo pubblico, eliminando l’Opera Buffa dal Teatro.  















Così mentre il Nuovo e il Fiorentini continuarono a rappresentare commedie in musica, il Fondo mise in scena drammi in prosa a carattere educativo, al fine di diffondere le nuove idee. L’attività musicale si riduce a qualche cantata e inno nel corso di serate patriottiche. Tra questi il famoso Inno Patriottico del Cimarosa che costò al compositore la possibilità di rimanere a Napoli quando si restaurò la monarchia. Il 26 gennaio il "Teatro Patriottico" inaugurò con L’Aristodemo di Monti; in sala era presente il generale Championnet che fu acclamato dal pubblico non senza dissensi di parti avverse. Ma L’Aristodemo fu giudicato antipatriottico e il teatro fu chiuso col mutarne le porte. Si riaprì il 3 marzo 1799 con un lavoro in stile repubblicano Catone a Utica. Il repubblicano principe della Rocca Filomarino assunse l’impresa rappresentando di preferenza tragedie di Vittorio Alfieri, stimolo alle virtù civili.

Nel 1809 il famoso impresario Domenico Barbaja, già gestore del Reale Teatro San Carlo, assunse la direzione del Teatro del Fondo, tenendola fino al 1829. In quel periodo l’attività artistica si svolse parallelamente tra i due teatri, con spostamenti di spettacoli da un palcoscenico all’altro. E’ sotto il regime napoleonico che si deve uno dei maggiori periodi di splendori e ricchezza di repertorio. Al Fondo fu ospitata la trilogia dapontiana del Don Giovanni, Le Nozze di Figaro, Così fan tutte, che decretò la definitiva fortuna del grande Mozart in Italia.

Inoltre ci fu una fittissima attività di teatro di prosa con l’alternarsi di due compagnie stabili, per la prosa francese e italiana. Ciò conferma la tesi che anche i napoleonidi (Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat) tenevano in gran conto l’affermazione di Napoli come capitale d’oltralpe.

Nel 1815 con la restaurazione borbonica arriva a Napoli Gioacchino Rossini. Il musicista fu importo da Barbaja, che aveva avuto modo di conoscerne il valore ascoltandolo nei teatri del nord Italia. Rossini era giovanissimo (23 anni), e giudicato dai napoletani non degno di reggere il confronto con i grandi ospitati al San Carlo, poiché la sua fama era dovuta alle Otto opere comiche, in quanto delle 14 scritte sino ad allora solo cinque erano serie e una semiseria. Ma la sfida con l’opera seria fu vinta, poiché trionfò al San Carlo con Elisabetta Regina d’Inghilterra. Dopo l’incendio che danneggiò il Massimo cittadino, in attesa della ricostruzione, il genio Rossini trasferì le sue Opere al Fondo.

Nel 1822 giunse a Napoli Gaetano Donizetti, proprio quando il suo predecessore Rossini partiva, e vi rimase fino al 1838, creando e raccogliendo successi. Al Fondo rappresentò, tra le altre opere, Lucia di Lamermoor. In quel periodo, il Fondo conobbe anche l’arte di Vincenzo Bellini, di Francesco Saverio Mercadante, di Giuseppe Verdi (Ernani, I Due Foscari).

Il 3 marzo 1848 uno sciopero delle masse e degli artisti, pagati in ritardo, provocò una nuova chiusura da parte dell’impresario e scatenò le proteste del pubblico per la qualità scadente degli spettacoli. La sala era in uno stato di degrado: oscura platea, circondata da affumicate pareti con sedili rotti tali da generare dissensi e reclami che obbligarono alla chiusura. Così si adottarono provvedimenti per il restauro che, sotto la guida dell’architetto Catalani, venne adeguato al nuovo gusto neoclassico. Il nuovissimo sipario fu dipinto in pochi mese da Michele di Napoli (pittore a cui si deve anche quello del "Teatro Piccinni" di Bari). Un altro restauro importante fu attuato nel 1893: la facciata del Teatro venne rifatta nello stile attuale, su disegno dell’Ing. Pietro Pulli.

Con l’Unità d’Italia i teatri reali San Carlo e Fondo passarono al Demanio subendo una situazione finanziaria precaria comune ad altri teatri nazionali. Ciò fu conseguenza dello scomparire delle Corti locali, che tramite i teatri si celebravano e propagandavano attuando fonti di finanziamento. Dopo il 1861 l’abbinamento gestionale San Carlo e Fondo non venne più attuato. Tale scissione impresariale portò una divisione dei gusti del pubblico. Da una parte chi preferiva l’opera lirica e per cui il Fondo rimaneva sempre teatro "appoggio" del San Carlo, dall’altra l’emergente classe borghese che reclamava un tipo di teatro diverso. Nel decennio 1860-70 il Fondo subì alterne vicende: veniva dato spesso in fitto e le sue tavole ospitarono anche attori napoletani come Antonio Petito, glorioso Pulcinella, attestandosi come punto di ritrovo di culture diversificate.

Il 17 dicembre 1870 una folta petizione di firme arrivò al Prefetto, motivazione: cambiare il nome del Teatro Fondo in Teatro Mercadante, dedicandolo così al musicista di origine pugliese formatosi a Napoli.

Il Teatro Mercadante piano piano, diventava palcoscenico dei primi grandi attori "italiani". Si ricorda la contesa che si accese tra il pubblico napoletano su due attrici che agirono nel Teatro: Fanny Sadowski (che aveva preso in gestione il teatro dal 1869-70 con apprezzabili risultati) e Adelaide Ristori.

A chi dare la palma d’oro? I napoletani si divisero nettamente e così anche il mondo giornalistico. Tre i partiti: i "Ristoratori", i "Sadowskiani" e i ... neutri. Guai a parlar male della Ristori! Ma, comunque, ciò non intaccava la "grandeur" dell’attrice in scena: bastava un gesto maestoso, uno sguardo truce o tenero, sul palcoscenico, a scatenare uragani di applausi. Mentre la Ristori lasciava Napoli sulle ali del successo, Pasquale Altavilla, con la sarcastica penna, dal Sancarlino scriveva una parodia, come aveva già fatto per Verdi, Rossini, Donizetti, e tutti gli altri grandi che erano passati per il Mercadante.

Rimanevano, però, le mode alla Ristori: i cappellini, i toupè e persino i pranzi alla Ristori.

Con l’avvento della Bella Epoque Napoli pur avendo dovuto cedere lo scettro di capitale, non perdeva il primato culturale. Anzi il dibattito, in questo senso rimaneva ad altissimo livello. Nei teatri "l’intellighenzia" cittadina si rappresentava nel migliore dei modi, elevando a livello nazionale la produzione artistica. Il Mercadante assorbiva questi umori, ospitando compagnie sempre prestigiose. La Compagnia di Sarah Bernardt vi presentò La Signora delle Camelie e Coquelin Il Cyrano di Bergerac. Nel 1899 Eleonora Duse ed Ermete Zacconi interpretarono Gloria di Gabriele D’Annunzio. In questo clima si affermava a Napoli il fautore della riforma del teatro napoletano: Eduardo Scarpetta. Egli trasformò il "teatro pulcinellesco" adeguandolo agli stilemi della classe borghese, perfezionando e portando al successo il personaggio di Felice Sciosciammocca, già inventato da Antonio Petito, che costituì Pulcinella. In realtà Petito aveva intuito i cambiamenti nei gusti del pubblico, ma Scarpetta portò a compimento una "rivoluzione", adeguandosi ai modelli in voga delle pochadè, codificando la struttura delle commedie e inserendo una regia che si allontanava dallo schema "canovaccio".

Nel 1888 il suo più clamoroso successo venne rappresentato al Mercadante: Miseria e Nobiltà. Il Mercadante fu ancora "teatro" per Scarpetta di una commedia infausta Il figlio di Iorio, parodia della celebre tragedia dannunziana. Rappresentata nel 1904, in una tragica serata in cui la commedia fu ampiamente fischiata dai suoi detrattori a causa delle molte polemiche avute con D’Annunzio che gli intentò causa. Scarpetta, difeso anche moralmente in un saggio da Benedetto Croce, vinse la causa contro il "Vate d’Italia", ma gli rimase l’amarezza di quella terribile esperienza.

Il nuovo secolo si apre per il Mercadante con un repertorio eterogeneo: dialettale, classico, opere ottocentesche, patriottiche, storiche, tematiche sociali e borghesi, ospitando tra l’altro, anche Pirandello e Marta Abba. Una figura si staglia ed è quella del napoletano Roberto Bracco. Richiestissimo dal pubblico che attende le sue novità. Attori di punta interpretano le sue opere, come Zacconi, Emma Grammatica. A Bracco si deve l’aver dettato una lapide, apposta nel 1922 nell’atrio del Mercadante per celebrare l’ottantesimo compleanno di Achille Torelli.

Negli anni ruggenti dell’avanspettacolo-rivista, al teatro Mercadante fu inaugurata la prima passerella, con Totò e Lia Thomas, come è nella memoria storica dell’attore Bob Vinci, nipote della soubrette.

Nel 1958 ci furono restauri per i danni causati dalla guerra, ma già nel ’20 erano stati costruiti la IV fila di palchi e il loggione e nel 1938 Francesco Galante era stato incaricato di rifare il soffitto. Dipinse "Napoli Marinara".

Alla fine degli anni ’50 inizio ’60 il Mercadante visse delle stagioni come Teatro Stabile con la direzione artistica di Franco Enriquez e nel 1963 ci fu la chiusura definitiva per inagibilità dovuta a ragioni statiche. Il 6 luglio 1963 il Teatro fu trasferito dal Demanio al Comune di Napoli. Solo nel 1979 iniziarono i lavori di restauro, a due secoli dalla inaugurazione della sala, per restituire un teatro funzionante alla città. I lavori hanno creato nuovi servizi: un teatrino sperimentale, una sala di scenografia con spazio espositivo sottostante, ampi camerini per gli attori, ampi spazi per il pubblico su tre livelli. Il 30 settembre 1986, con il teatro ancora cantiere, è stata inaugurata la mostra Vita e opere di Eduardo De Filippo. Il 16 maggio 1987 Roberto De Simone rappresenta Histoire du Soldat di Igor Stravinskij. Lo spettacolo è realizzato in platea senza poltrone. Ma il maestro De Simone ha rappresentato ancora in questo teatro, tra l’altro, una edizione di La Gatta Cenerentola, Cantata per Masaniello con gli Inti-Illimani, l’ensamble di Media Aetas e Le Tarantelle del rimorso.

Dal 1990 al 1992 viene attuato il progetto "Teatro di Napoli-Teatro del Mediterraneo" diretto da Maurizio Scaparro. Nell’ambito del progetto vengono presentati, tra gli spettacoli: Don Chisciotte, regia di Maurizio Scaparro, Rasoi di Enzo Moscato, regia di Mario Martone e Toni Servillo, Questi fantasmi di Eduardo De Filippo, con Luca De Filippo, regia di Armando Pugliese.

La stagione 1995-96 vede l’inaugurazione del primo cartellone teatrale, per un teatro chiuso da trent’anni anche se intervallato da momenti artistici di grande qualità. La stagione teatrale è promossa dal Comune di Napoli, l’E.T.I. e il Teatro Pubblico Campano. Dieci spettacoli in abbonamento di alta qualità, una elevata affluenza di pubblico e un apprezzabile seguito della stampa locale e nazionale decretano il successo di una iniziativa che finalmente recupera al Teatro Mercadante un ruolo che gli spettava e che mancava tra gli interlocutori artistici cittadini.



Il Teatro Mercadante
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