L'ATTIVITA' DEL VESUVIO

Introduzione
Negli ultimi 25.000 anni, l'attività vulcanica della piana campana è concentrata prevalentemente al Vesuvio. I prodotti più antichi sono pomici (dette pomici di Codola) che si trovano sopra il deposito dell'Ignimbrite Campana. L'eruzione più violenta è probabilmente quella avvenuta 17.000 anni fa, chiamata delle "Pomici di Sarno" o "Pomici Basali". Numerose altre violente eruzioni esplosive si sono verificate da allora.
 
Il Vesuvio entra nella storia della vulcanologia con l'eruzione del 79 d.C. Dopo il 1631, il vulcano entra in uno stato di attività persistente, con un susseguirsi quasi ininterrotto di numerose eruzioni esplosive e effusive. 

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Le eruzioni del Vesuvio tra il 79 d.C. e il 1631
(tratto in parte da Un viaggio al Vesuvio, P. Gasparini e S. Musella, 1991, Ed. Liguori, Napoli)
Dopo l'eruzione del 79 sul Vesuvio cade un lungo silenzio e la prima notizia di una sua persistente attività ("emette molta cenere che giunge fino al mare") è riportata nel 172 da Galeno, un medico greco che descrive le proprietà dell'aria secca del luogo creata da fuochi sotterranei.

Dione Cassio riferisce di una violenta eruzione nel 203, i cui boati vengono uditi fino a Capua, a 40 km dal Vesuvio. Notizie di altre due grosse eruzioni avvenute nel 472 e 512 sono riportate da Marcellino Comite, cancelliere dell'Imperatore Giustiniano.

Questi riferisce che il 6 novembre 472 "il Vesuvio, torrido monte della Campania che brucia di fuochi interni, ha vomitato le viscere bruciate; durante il giorno portòle tenebre con una polvere minuta sulla superficie di tutta l'Europa".

L'eruzione del 512 è dettagliatamente descritta da Cassiodoro, un questore di re Teodorico, in una lettera redatta per chiedere l'esenzione dalle tasse per le popolazioni danneggiate dall'eruzione. Egli riferisce che "vola (...) una cenere bruciata che, dopo aver formato delle nuvole pulvirolente, piove con gocce di polvere anche sulle province d'oltremare (...). E' possibile vedere fiumi di cenere scorrere come liquidi fluenti che trascinano sabbie calde (...) e il dorso dei campi si gonfiano all'improvviso fino a raggiungere le cime degli alberi."

Un'eruzione esplosiva, avvenuta tra il 680 e il 685, è riportata da Paolo Diacono nella Historia Longobardorum e altre sono segnalate nel 787 e 968.

Leone Marsicano, nelle cronache dell'Abbazia di Montecassino, parlando dell'eruzione del 968, riferisce di "un incendio grandissimo ed insolito che giunse fino al mare". In questa eruzione vi è forse la prima testimonianza di una colata di lava, definita come "resina sulfurea che con impeto ininterrotto precipitava verso il mare".

Numerosi autori parlano di eruzioni nel 991, 993 e 999, ma essendo quegli anni pervasi dalla convinzione di una imminente fine del mondo, ogni riferimento a catastrofi deve essere letta con un certo margine di sospetto.

Nelle cronache dell'Abbazia di Montecassino è segnalata un'altra eruzione durata sei giorni dal 27 gennaio 1037 e un evento esplosivo tra il 1068 e 1078. L'ultima eruzione, prima di un lungo periodo di quiescenza, avviene agli inizi del giugno 1139 ed è riportata sia dalle cronache di Montecassino che da quelle dell'Abbazia di Cava dei Tirreni, nonché dal segretario di Papa Innocenzo II, Falcone Benevantano, il quale scrisse che il Vesuvio "gettò per ben otto giorni potentissimo fuoco e fiamme vive".

Non si conoscono testimonianze attendibili sull'attività del Vesuvio dopo il 1139. Intorno al 1360, Boccaccio scrive che dal Vesuvio "ora non escono ne' fiamme ne' fumo".

In un imprecisato anno del 1500, Ambrogio Leone da Nola riferisce di un'eruzione durata tre giorni, alla quale fece seguito la formazione di fumarole gassose. Un soldato spagnolo, salito al Vesuvio nel 1501 insieme alla Regina Isabella, descrisse il cratere come "un foro da 25 a 30 palmi di diametro e da cui esce continuamente del fumo" che, secondo alcuni "diventa la notte una fiamma vivissima".

Nel 1575, Stephanus Pighius, un ecclesiastico belga in viaggio in Italia, descrive il Vesuvio "rivestito da splendidi vigneti, e così anche i colli e i campi vicini". In mezzo alla sua cima si apre una voragine, ma il vulcano "è freddo, ne' sembra emettere alcun calore o fumo".

Dal 1500 1631 è dunque certo che il Vesuvio sia rimasto inattivo o quasi. La montagna si era ricoperta di coltivazioni e i paesi distrutti avevano ripreso a vivere, dimenticando rapidamente le eruzioni passate. Grossi alberi crescevano fino al Gran Cono, il cono all'interno della caldera del Somma, e tutto l'apparato era chiamato la montagna di Somma, dal nome della città che sorge ai piedi del Vesuvio.

Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1631, tra fortissimi boati e terremoti, il Vesuvio torna in attività con una disastrosa eruzione che semina panico e distruzione. Già da alcuni mesi tutta la zona era afflitta da frequenti terremoti, che si erano intesificati pochi giorni prima dell'eruzione.

Gianbattista Manso, un letterato dell'epoca descrive la nube eruttiva che si alza in parte verso il cielo (colonna pliniana) e in parte si dilata sulle falde del monte come un torrente (surge e flussi piroclastici).

La fase più violenta durò tre giorni e tutta l'eruzione si esaurì in cinque giorni, lasciando uno strascico di colate di fango e frane di materiali vulcanici accumulati sui pendii. Deboli emissioni di ceneri e terremoti proseguirono per mesi.

Dopo questa eruzione il Vesuvio ha cambiato forma: la cima, prima più alta di quella del Somma, appare decapitata e il cratere, secondo Bouchard, uno studioso francese salito fino al bordo della voragine, ha un diametro di circa due miglia (tre km e mezzo), rispetto al miglio precedente. Verso Torre del Greco si erano aperte sei nuove bocche eruttive.

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L'attività tra il 1631 e il 1944
Con l'eruzione del 1631 il Vesuvio entra in una fase di attività persistente che perdura, salvo brevi periodi, fino al 1944. Per questo è probabile che, data la consuetudine a vedere il vulcano in attività, si sia persa la testimonianza degli eventi minori e che le cronache dell'epoca riportino solo le eruzioni particolarmente violente.
Molte delle eruzioni che si susseguono per oltre tre secoli presentano un'evoluzione molto simile: l'attività iniziale è di tipo effusivo, con colate di lava che sgorgano da fratture o tracimano dal bordo del cono. Questa fase può essere accompagnata da piccole esplosioni stromboliane.

Dopo alcuni giorni, l'eruzione diventa di tipo esplosivo e si formano fontane di lava alte 2-4 km. La fase finale è caratterizzata dalla formazione di una colonna eruttiva sostenuta, alta 5-15 km, cui segue il collasso della parte centrale del cratere. Il vulcano entra poi in una fase di riposo che dura alcuni anni. Quando riprende, l'attività inizia di nuovo con effusioni di lava.
L'ultima eruzione al Vesuvio è avvenuta nel 1944 e il successivo periodo di riposo, che persiste a tuttora, è molto più lungo degli intervalli di riposo che si sono avuti nel periodo 1631-1944, durati al massimo 7 anni.

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L'eruzione del 1944
Il 10 maggio 1913 il fondo del cratere formatosi con l'eruzione del 19O6 sprofonda di circa 75 metri. A partire dal 5 luglio 1913 lo sprofondamento viene riempito da un efflusso di lava, mentre scorie lanciate in aria si accumulano formando un conetto.
Fra il 1915 ed il 1920 il fondo del cratere si alza di circa 100 metri. Il primo trabocco di lava fuori dal cono avviene il 28 novembre del 1926 e tre anni dopo, nel giugno del 1929, si registra una violenta eruzione. Dopo questa eruzione, il Vesuvio alterna stasi e attività, per lo più concentrata all'interno del cono, per parecchi anni.

Il 12 agosto 1943 ai piedi del conetto si apre una bocca eruttiva, la cui attività provoca il crollo del conetto, seguito da esplosioni. Il 6 gennaio 1944 il flusso di lava aumenta e una colata si riversa all'esterno spingendosi per oltre 100 metri a valle. La lava continua a fluire all'esterno del cratere sino al 26 gennaio e all'interno dello stesso fino al 23 febbraio, giorno in cui l'attività effusiva cessa del tutto.

Nelle prime ore del 13 marzo 1944 crollano le pareti del conetto e cessa ogni tipo di attività fino al pomeriggio del 14 marzo, quando riprendono deboli lanci di scorie. Nella notte tra 17 e 18 marzo, con un poderoso crollo del conetto, cessa nuovamente ogni attività.

La sera del 18 marzo si verificano nuove esplosioni seguite da un'abbondante emissione di lava che segna l'inizio della prima fase ("fase effusiva" Imbo', 1945) dell'eruzione del 1944. La lava trabocca dall'orlo craterico in diversi punti e raggiunge, verso Nord, il fianco del Somma dal quale è deviata a Ovest verso il Fosso della Vetrana.

Le esplosioni aumentano e i lanci di scorie e brandelli di lava arrivano sino a 100 m. di altezza sopra l'orlo del cratere. La sera del 19 la lava raggiunge le prime case di Massa e S. Sebastiano, invade gli abitati e avanza fino a 1,5 km dal centro di Cercola, dove si ferma il 22 marzo.

Dalla mattina del 19 l'attività esplosiva si mantiene costante con tumultuosi lanci di scorie e brandelli di lava alti sino a 150 metri sull'orlo. Dalla sera del 18 al mattino del 19 si avvertono all'Osservatorio Vesuviano tremiti discontinui e, dalle ore 10 del 19, tremiti continui con intermittenti rinforzi.

Alle 17 del 21 marzo la colonna di magma si alza sino a 2 Km di altezza e inizia la seconda fase dell'eruzione che viene definita, sempre da Imbo', "delle fontane di lava".

La prima fontana dura 30 minuti e la lava incandescente, ricadendo e accumulandosi sulle pendici esterne del Gran Cono, origina delle pseudo-colate di scorie. Una di queste, particolarmente grande, si forma a Ovest-Sud-Ovest dove raggiunge i 700 m s.l.m. Alle I7,30 ritorna una calma quasi totale con una notevole riduzione dei fenomeni esplosivi e la cessazione dei tremiti.

La pausa eruttiva si protrae sino alle 20,10, allorché inizia a manifestarsi una nuova fontana lavica che dura 20 minuti e presenta le medesime caratteristiche della precedente. Anche questa è seguita da una riduzione generale dell'attività eruttiva. L'andamento alterno dell'eruzione continua a ripetersi per tutta la notte ed il mattino del 22 marzo. Si susseguono 8 fasi di fontane di lava; con l'ultima si ha il massimo eruttivo di tutto il parossismo.

Dalle 12 del 22 marzo si verifica un graduale cambiamento e, oltre al materiale incandescente, viene emesso anche materiale litico strappato dal condotto. A questo punto ha inizio la terza fase dell'eruzione, detta delle "esplosioni miste".

Alle pseudo-colate di scorie, caratteristiche della seconda fase, seguono nuovi fenomeni di flusso chiamate "valanghe incandescenti" e "nubi ardenti in miniatura". Il flusso principale si sovrappone alla colata lavica meridionale spingendosi, in pochi secondi, per 2 km oltre l'orlo craterico.

Il conetto centrale, in ricostruzione dal 18 marzo, si salda, nel pomeriggio del 22 marzo, alle pareti interne del Gran Cono, raggiungendo una quota massima di oltre 1.260 m s.l.m.

Alle ore 21 del 22 marzo, riprendono le esplosioni che durano fino alle prime ore del 23 marzo, per poi decrescere gradualmente. Nel corso dello stesso giorno le colate si arrestano completamente; quella a Sud si ferma a 350 m s.l.m. (rioni Monticelli-Le Voccole) e quella a Nord si ferma a 120 m s.l.m.

Alle 12 del 23, mentre le esplosioni sono in decremento, incominciano ad essere avvertite all'Osservatorio un numero sempre crescente di scosse sismiche. La crisi sismica precede di poco un nuovo cambiamento nell'eruzione. Infatti, dalle 14, vengono eruttati prevalentemente ceneri e materiali scuri e comincia un'alternanza di scosse sismiche e esplosioni.

Col procedere di questa fase, detta da Imbo' "sismo-esplosiva", inizia una graduale riduzione dei fenomeni. Il 24 marzo continua l'emissione di ceneri che diventano più chiare. Il 27 e 28 le esplosioni sono sempre più rare e generalmente meno violente e, il 29, l'eruzione può dirsi conclusa. Tutta l'attività si riduce a semplici esalazioni fumaroliche post-eruttive.

Terminate le esplosioni, le pareti del cratere e i fianchi del Gran Cono iniziano a essere interessati da fenomeni di assestamento. Il 29 marzo il cratere presenta una profondità centrale rispetto all'orlo di 300 m e un perimetro di 1,6 Km. L'orlo Ovest, il più interessato dalle frane, risulta a 1.169 m e quello Nord-Est a 1.300 m s.l.m..

Il bordo del cratere pur essendo alquanto irregolare, si avvicina, visto dall'alto, alla forma ellittica con l'asse maggiore di 580 m (Est-Ovest) e quello minore di 480 m (Nord-Sud). Per i continui fenomeni di frana il cratere subisce negli anni successivi numerose modificazioni.

L'eruzione avviene poco dopo l'arrivo delle truppe alleate a Napoli. A causa degli eventi bellici, l'Osservatorio è diventato una stazione metereologica degli alleati ed il suo Direttore, Giuseppe Imbo', è relegato in un'unica stanzetta dalla quale compie le sue osservazioni nei giorni dell'eruzione.

L'evento coglie di sorpresa gli americani e causa loro danni maggiori di un bombardamento aereo: un intero stormo di bombardieri B29 che si trovava nel campo di atterraggio in prossimità di Terzigno viene distrutto in breve dalle ceneri.

Il Vesuvio sembra così voler manifestare per l'ultima volta tutta la sua potenza prima di rientrare in un minaccioso riposo che dura a tutt'oggi. Gli unici segni della sua attività sono alcuni piccoli terremoti che vengono costantemente registrati dai sismografi dell'Osservatorio Vesuviano e l'attività fumarolica che si osserva al cratere.