Era na’torta ch’era asciuta male:

nu poc’e nzogna, cicole ‘e maiale,

‘o lievito, a farina, e un buco in mezzo.

Na’ torta pezzottata, ‘e poco prezzo.

Venne Pasqua. Gesù, risuscitato,

s’accorgette di quant’era affamato.

“Guagliò, stongo dijuno a viernarì:

aggia magnà, sinò torn’a murì!

Se po sapè cherè chesta ciambella?

A vederla nun pare troppo bella,

ma è bona! Tiene proprio un gran sapore!

‘A voglio tutta, e po’ ne voglio ancore.

Stu tortano difiette nun ne tene:

l’aggia truvà pure l’anno che vene!



LA STORIA DEL TORTANO E DEL CASATIELLO


E’ Pasqua, Cristo risorge. Era morto, ora è di nuovo vivo. Insieme a lui rinasce la speranza, e con lei il buonumore. E col buonumore torna pure l’appetito. Perché diciamocelo: la domenica di Pasqua si mangia bene, e abbondantemente. La Pasqua cambia data tutti gli anni, ma a tavola è sempre uguale.

A Pasqua ci nutriamo secondo la tradizione, e la tradizione si nutre di simboli. Prendiamo uno dei piatti tradizionali della Pasqua del meridione d’Italia: il casatiello. Ma prendiamone poco, perché è di una pesantezza proverbiale: “I’ che casatiello!” si dice a Napoli, parlando di una persona pedante, verbosa e noiosa.

Nella tassonomia culinaria, il casatiello appartiene alla famiglia delle torte pasquali salate. Così come il tortano. (la torta pasquale dolce più famosa è certamente la pastiera).

Il termine casatiello deriva da “caso”, che in dialetto napoletano vuol dire formaggio, e allude alla cospicua presenza al suo interno di formaggio pecorino. Tortano potrebbe derivare da torta-no, nel senso che non è una torta, ma è molto di più. Ma questa origine non convince.  

Tortano e casatiello hanno lo stesso impasto: farina, lievito, acqua, sale, pepe,  sugna (in italiano strutto), uova sode, salame, formaggio e ciccoli (ciccioli) di maiale.

Le varianti sono numerose: regionali, locali, e familiari. C’è chi, invece del (o insieme al) salame  nell’impasto ci mette mortadella a dadini, o prosciutto cotto. Quanto ai formaggi, fondamentale è il pecorino romano, in dosi generose. Ad esso si aggiunge spesso una piccola percentuale di parmigiano, e c’è chi si spinge fino al provolone semipiccante, e/o all’emmental.

Per un piatto così legato alla Pasqua, e dunque alla tradizione cristiana, fa un certo effetto rendersi conto che i suoi ingredienti rispondono ad una simbologia  pagana, molto precedente a Cristo: a cominciare dal già evocato pecorino. Il formaggio pecorino si fa con il latte di pecora. Di cui si nutre il piccolo della pecora: l’agnello. Orbene, nei riti pagani collegati alla resurrezione primaverile della natura dopo la “morte” invernale venivano sacrificati degli agnelli. Con la a maiuscola, l’Agnello è il simbolo dell’innocenza: della creatura pura e candida. Per questo gli Ebrei lo offrivano in sacrificio durante la Pasqua. E chi – nella visione cristiana – è più innocente di Cristo, l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo?

In tutto l’Occidente, l’agnello  pasquale che trionfa e sorregge la bandiera della vittoria sulla morte rappresenta la Resurrezione, tanto da essere impiegato come amuleto dopo essere stato modellato con cera benedetta. 

E’ chiaro dunque perché è il pecorino, il formaggio che si deve mettere nel casatiello e nel tortano? Se non ce lo mettete, cambia tutto il senso del casatiello (e pure il sapore, che a parte ogni discorso, col pecorino è tutta un’altra cosa…)   Altro ingrediente, altra storia: i ciccioli, o cicoli, come dicono i napoletani. I ciccioli sono i residui della lavorazione (fusione) del grasso del  maiale: lo strutto, “’a nzogna” dei partenopei.

I ciccioli si presentano come  pezzetti irregolari di carne, di color nocciola,  molto ricchi di grasso, e quindi saporitissimi.  Rimandano anch’essi a un rito antichissimo, antecedente all’era cristiana: l’uccisione sacrificale del maiale, simbolo di fecondità e di benessere. E il benessere effettivamente lo portava nelle case, il maiale, con tutto il ben di Dio che metteva sulle tavole dei contadini. La gratitudine non è uno dei sentimenti umani più frequentati, e il maiale lo sa: lui sfama l’uomo, e l’uomo lo infama. Facevano così anche i cristiani, per i quali il porco era il simbolo dell’ingordigia e dell’ignoranza: ma curiosamente, in epoche precedenti, il maiale era collegato alla rinascita. Nell’antico Egitto la scrofa che divora i suoi piccoli rappresentava infatti Nut, la Dea del cielo, i cui figli (le stelle) muoiono al mattino per rinascere la sera.     

Il tortano e il casatiello si fanno con la farina. Come il pane: il Cibo per eccellenza, che resta tale quando, oltre che entrare nella bocca, ne esce diventando linguaggio: “nell’espressione “guadagnarsi il pane”, quest’ultimo simboleggia qualsiasi forma di sostentamento e di alimento. Prima di diventare il Simbolo del Re dei Re, cioè di Cristo nell’ostia consacrata, il Pane era - ed è - il Re dei Cibi.

Poi ci sono le uova. L’Uovo è il simbolo del seme primordiale dal quale in seguito nasce il mondo. Come totalità racchiusa in un guscio, indica la Creazione già prefigurata fin dall’inizio.

I cristiani paragonavano Gesù, che risorge dal sepolcro, al pulcino, che esce dal suo guscio. E quando risorge Gesù? A Pasqua! Ecco spiegato il significato dell’uovo di Pasqua, presente in moltissime culture.

Perciò, nel periodo di Pasqua uova come se piovesse (ma meglio di no, specialmente a Pasquetta, c’è la gita fuori porta). Ci sono le uova decorate, le uova di cioccolato, e le uova messe dentro i dolci e le torte: a Napoli, nella pastiera e nella colomba, ma pure -e qui il cerchio si chiude- nel casatiello e nel tortano.

Oltre alla sostanza (piuttosto sostanziosa, a quanto pare), tortano e casatiello hanno in comune  la forma. A ciambella, vuota al centro.

Questa forma ha un significato ben preciso (perché ormai è chiaro: in questi cibi dei giorni di festa niente è lasciato al caso, e figuriamoci al casatiello): la ciambella ha la forma della corona di spine di Gesù Cristo. E’ così che, mangiandola, ci si ricorda, senza averne consapevolezza, ma a livello profondo, del calvario del Salvatore: e si lenisce la (sua e nostra) sofferenza  “distruggendo”, col mangiarla, una delle sue cause: la terribile corona di spine, appunto.

Ma benché uguali per contenuto (l’impasto è sostanzialmente il medesimo), e per forma (a ciambella),  tortano e casatiello non sono sinonimi.

No. Il casatiello ha qualcosa in più rispetto al tortano. Oltre ad avere le uova sode dentro l’impasto, ce le ha pure fuori: quattro o più, complete di guscio, incastonate nella ciambella. Ma non completamente affondate in essa, in modo che la loro parte superiore rimanga visibile.

Il tortano (in cui le uova sode, tagliate a spicchi, si trovano solo nell’impasto) è in realtà più antico del casatiello. Che ne rappresenta un’evoluzione.

Un bel giorno dev’essere accaduto che uno di quei fornai che   preparavano i tortani, per renderli più appetitosi, abbia provato a incastrarvi dentro delle uova crude, e intere. Una volta tolto dal forno questa specie di supertortano (forse una volta sola non bastò, e ci vollero più tentativi), si accorse che le uova, al di sotto del guscio, erano diventate sode. E avevano preso un particolarissimo sapore, a causa dell’impasto in cui si trovavano immerse.

Era nato così il casatiello, che incontrò subito molta fortuna. Perché soddisfa il palato, e l’occhio. E pure la sensibilità religiosa: al di sopra di ciascun uovo inserito nella ciambella venivano infatti sistemate due striscioline di pasta perpendicolari tra loro.  A scopo puramente  ornamentale? Ovviamente no: le due strisce ortogonali di pasta non sono altro che la rappresentazione della Croce. 

Lasciando da parte i simboli, il casatiello è davvero bello a vedersi: un alto ciambellone dorato, dalle cui pareti ambrate emergono a tratti i cicoli, e  sulla cui superficie occhieggiano le uova sode ancora serrate nella corazza del  guscio.

L’operazione di sgusciamento delle uova incastonate è delicata: occorre infatti separare con cautela i frammenti del guscio dal soffocante abbraccio della pasta, che a cottura ultimata vi aderisce fortemente.         

Nato come gustosa variante del tortano, il casatiello ha un po’ per volta perso terreno: per praticità e rapidità, le massaie hanno preferito limitarsi alla preparazione del  tortano, che già da sola non è uno scherzo.

Ma il tempo è sempre galantuomo, anche quando non c’è. E’ stata proprio la sua mancanza a  far tornare in auge il casatiello. E’ accaduto perché oggi ormai nelle case non c’è il tempo neppure per fare il tortano. A questo punto, chi lo vuole deve andarselo a comprare. E allora, perché non prendere il casatiello, con quelle belle uova tra il sodo e l’arrostito, che fanno tanto Pasqua?

I fornai più avvertiti lo hanno capito benissimo, e hanno deciso di non mettersi più dalla parte del tortano. Così sono passati dalla parte del casatiello, che infatti oggi si vende di nuovo come il pane. Dopo averlo assaggiato, come si fa a non dargli ragione?



A LEGGENDA D’O TORTANO


Doppo sulo tre ghiuorne ch’era muorto,

a Pasqua, Gesù Cristo era risorto.

Currette tutt’attuorno nu’ sorriso:

ncopp’a terra, ma pure n’Paraviso.


Il Babbo (‘o Pataterno) è stracontento.

Va guardann’o rilorgio ogne mumento:

“Mo’ vene!” Pe l’accogliere, a Maronna

s’a miso ‘o meglio manto, e ‘a meglia gonna.


Pe stu guaglione, quanto hanno penato!

S’è sbattuto, ha pregato, ha predicato

(pe c’aiutà perdette pur’ a voce,

e nuje, pe’ premio, l’ammo miso ‘ncroce).


Mo’ c’arriva, se fa ‘na granna festa:

c’a carne, ‘o pesce, e cicere, e a menesta;

s’abballa fino all’alba, mmiez’e stelle,

ch’e Sante, l’angiulille e l’angiulelle!


Ma pass’o tiempo, e Cristo nun se vede.

“Gesù. Chesto si o conto, nun se crede.

E che miseria. Né, tu si risorto:

e vuò sagliere ncoppa, a chi t’è…..?


Ecco qua, mò pur’i aggio iastummato.

Pietro, nunn’è c’avesseno sunato?”

Oramai s’era fatto un certo orario,

e tutt’e sant’e copp’o calennario


s’offretteno pe scennere quaggiù

p’avè quacche notizia di Gesù.

“Pe quant’è vero ca me chiammo Dio

nun ce mann’a nisciuno: ce vac’io!”


Scennette a volo. Sorvolaje l’Inferno,

e cu’ nu naso fine ‘e Pataterno

ca ngarra sempe, e nun se sbaglia mai:

Napoli, via San Biagio dei Librai.

 
Era nu’ vico scuro, luongo e stritto.

Dio, senza fa remmore, zittu zitto,

c’a guida ‘e certi vvoce, dint’a niente

fernette int’a na casa chiena ‘e gente.

 
Tranquillo, a caputavola assettato,

parlanno mò cull’uno, e mò cull’ato,

Gesù, ca mazzecava un grosso pezzo

‘e na ciambella con un buco in mezzo.

 
Dio lle dicette:  “Figlio! ….di mappina,

nuje te stammo aspettann’a stammatina,

e tu si ghiuto a cena cull’amice?

Sì na carogna,  tu, e chi nun t’o dice!


Gesù, verenn’o Pate, s’era aizato.

“Babbo caro, perdonami. Ho sbagliato,

ma ‘a colpa è stata ‘ a lloro: ‘e sti’ perzone.

Per festeggiare la Resurrezione,

m’hanno fatto ‘na torta sopraffina

c’e cicole, cu ll’ova e c’a farina:

‘o tortano. Sta ccà, fresco sfurnato:

guarda che meraviglia del Creato!


Quanno resuscetaje, sentette addore….

Se dice: vide Napule e po’ muore,

e  - tu lo sai ca i’  sò straordinario-

aggio voluto fa tutt’o cuntrario:
 

primma so muorto, e doppo so’ venuto.

Vaco ncielo? Ma no, aggio riflettuto:

pè sta assieme cu mamma e cu papà,

i’ tengo, d’oggi in poi, l’eternità.


Succede na’ tragedia (manc’e cane)

se invece ‘e saglì mò, salg’ dimane?

Seguenno  stu prufummo,  là pe’ là

me trovaje miez’e strade ‘e sta città.


Ccà se fanno ‘e pasture ‘e terracotta,

(a Natale ce sta nu votta votta….)

Sì, so’ e presepie e San Gregorio Armeno:

ce stongh’i, ‘appena nato, dint’o fieno.
 

(L’asino e’o bue, papà, m’hanno scarfato:

si era pe’ te, murev’assiderato….. 

Ce steva san Giuseppe, cu Mammà.

‘O  ssaccio, e chesto nun ne vuò parlà….)
 

Turnann’a nuje: ve site preoccupate,

ca chi ‘o ssape che m’era capitate…

Va buono, mò è fernuto ‘o melodramma.

Saluto a chest’amice, e ce ne jamme.
 

Fratelli: fate il Bene, e non il Male:

ce vedimme al Giudizio Universale.

Stu’ tortano, guagliò, se po’ ncarta?,

pecchè pure Mammà l’adda  pruvà.


Papà, dacce nu’ muorzo, pe’ favore,

e mi perdonerai di tutto cuore:

m’aggio creduto, appena l’ho assaggiato,

ca ‘n Paraviso, i’ già c’ero arrivato!