Il PASSO DEL BRADIPO

IL PIATTO "UNICO"  di Enzo Faenza

Francuccio aveva venti anni: tutti trascorsi, questi, "into o' vico", uno dei tanti di Napoli. La sua famiglia, di cinque persone, occupava da anni un "pied'-a- terra", un "monolocale" che un tempo non lontano era stato il negozio di un fioraio. La mattina, Assunta, la mamma, per far fuoriuscire l'odore di tanta umanità compressa per tante ore in pochi metri quadrati, non apriva le finestre ma alzava la saracinesca. E così, ogni mattina, con lo stridere della vecchia saracinesca,  per Francuccio e famiglia la vita riprendeva. E che vita!? Papà Gigino, fisico deludente, basso, magro, guance scavate alla De Filippo, era detentore di un record assoluto: in 60 anni non aveva mai lavorato. Ogni tanto, bonariamente, sorridendo, tentava di addurre e di addursi delle spiegazioni plausibili…a' guerra, a' nefrite, "o' sinnaco vigliacco e buciardo"…ma subito Assunta, pietosamente, lo stoppava e il suo curriculum tornava ad essere il  quarto mistero di Fatima. Di contro Assunta era una donna bellissima e come per una condanna, un castigo divino, aveva sempre lavorato. La sua vita era trascorsa a fare le pulizie a casa di questa o quella signora, a lavare le scale di questo o quel palazzo: al Vomero, a Mergellina, a S.Lucia! Fu proprio a S. Lucia che un giorno l'avvocato Ayala, si, proprio il famoso avvocato,  le donò una rosa e le sussurrò:"Assù siete a cchiù bella femmina e Napule e…" Ma lei turbata e confusa scappò nel vicolo. Ed era lì, "into o' vico", quando Ciro, il primogenito, che  aveva preso "il posto" nelle Ferrovie, tornò per la prima volta da Bologna con un'alfetta rossa fiammante! Ciro, Ciruzzo il grande! L'unico essere vivente indigeno che era riuscito ad evadere da quella  "munnezza di vico"…Dove ci si rubava anche a vicenda tra i vicini. Dove Massimino, il figlio tredicenne di Totonno "cuoccio e' fierr"  andava e veniva in "vacanza" da Nisida: l'ultima volta era stato preso dalla Polizia mentre, con altri tre coetanei, scorazzava felice per il centro, guidando una Volvo rubata! Dove Marisa, 17 anni appena compiuti, si prostituiva rimanendo, però, miracolosamente, "semprevergine"! Dove Nicola, o' boss, alto, bello, forte, con il codino, passando in rivista le sue milizie e le sue amanti, mostrava il suo avambraccio, che ricordava il ponte della Nimitz, con il solenne tatuaggio:"Mamma, perdonami per quello che ho fatto!" Dove Francuccio era, forse, l'ultima speranza…                                          Egli, infatti, diversamente da gli altri guaglioni, aveva delle idee anche politiche, aveva il "grande sogno" che qualcosa potesse mutare e si potesse rimanere a vivere lì, tutti, dignitosamente. E queste idee, e questi sogni, li condivideva con Mariangela, la bella studentessa di Salerno che si era innamorata di lui sentendolo suonare la chitarra e cantare "Reginella" e "Light my fire"!  Li condivideva con tanti amici che vivevano "fore o' vico", in altri quartieri, in altri posti della bella e dolorosa Napoli.

Quel giorno ero stato invitato a pranzo a casa di Francuccio.
Assunta aveva preparato "il tutto" nel retrobottega adibito a cucina e aveva portato a tavola i piatti fumanti con una grande emozione: era la prima volta che uno "studente" pranzava a casa sua! Cominciammo a mangiare dei saporitissimi rigatoni "al sugo" scambiando timidamente qualche parola. Ben presto, però, quel primo piatto finì per tutti. Qualcuno fece la scarpetta e finì
pure quell'operazione e Assunta, stranamente, non si alzava per tornare nel
retrobottega. Allora Gigino versò del vino nel mio bicchiere, Assunta ne versò altro nel suo e, a turno, tutti gli altri nei loro. Continuammo così a pranzare bevendo, bevendo, bevendo! E ridemmo, ridemmo, ridemmo e ci beffammo, ci beffammo, ci beffammo e, infine, barcollando, ci abbracciammo, ci abbracciammo, ci abbracciammo. Assunta non si alzò mai per andare in cucina e quel piatto di rigatoni rimase "unico", in tutti i sensi!
Il mio racconto finisce qui. Vi sconsiglio di continuare a leggere: il muoversi nello spazio e nel tempo spesso provoca inutili sofferenze…parola di Bradipo!
Quando tornai nel vicolo qualche anno dopo, trovai il vecchio negozio di fioraio abbandonato, con la saracinesca semiaperta. Avvicinai di fretta un passante che a sua volta mi chiese "Chi Francuccio? Vuie forse cercate Francuccio o' mariunciello, o' comunista?! Quello che andava rubando negli appartamenti? Sta a Bologna e fa le pulizie inte e' treni! Ma quale Mariangela!? Si è sposata Marisa e ci ha fatto tre figliii, ma essa è… "semprevergine"!                                                  

23/12/2006
27/01/2007                                                                                                                   IL PASSO DEL BRADIPO


LA MALA EDUCACION    di Enzo Faenza

Quel giorno vennero in tre. Il segretario in gilet celeste e camicia a righe, quasi elegante, e i due bidelli: uno in camice blu lungo, fino ai piedi, da primario ospedaliero, l'altro con i pantaloni che gli arrivavano quasi alla gola, sorretti da una cintura sgualcita probabilmente ereditata dal nonno paterno.
"Che cazz' vonn' chist' ogg'?!" imprecò subito Fonzo molto, molto infastidito
dalla comparsa improvvisa dei tre. Lui, Fonzo, era il mio compagno di banco:
l'ultimo, quello in fondo ad una delle tante, grandi aule della scuola elementare
" Edmondo De Amicis". Quel posto recondito, alcune miglia dalla cattedra, era storicamente riservato ai "ciucci", ai "ripetenti", ai "malamenti": io ero un ospite particolare per la mia particolare altezza. Era luogo, quello, insieme di perdizione e di formazione. Mentre il maestro spiegava, lì si commerciava in figurine Panini o si barattavano penne, matite, temperamatite, quaderni e gomme trafugate ai secchioni dei primi banchi. Una volta  fu ricettata e venduta anche una copia del catechismo. Si apprendevano, così, concretamente, le prime nozioni di economia e commercio. Ogni tanto,poi, precoci e mal controllati flussi ormonali  costringevano i più grandi a tenere le prime, anche pratiche, lezioni di educazione sessuale. Era un luogo, quello, per così dire, molto viscerale, molto materiale.  Come assolutamente materiali erano le motivazioni per cui, Fonzo, mi voleva un gran bene. La mattina, appena arrivava, sempre in ritardo, subito mi chiedeva come era farcito il mio panino. La prima bacchettata della giornata era tradizionalmente sua. Puntualmente, ogni giorno, veniva beccato dal maestro, con le guance gonfie, mentre trangugiava metà della mia "colazione".        "Fonzo, quante volte devo ripeterti che per mangiare devi aspettare l'ora della ricreazione!?" E cosa era stà "ricreazione"? Un appuntamento mistico, un evento religioso, una seconda creazione di Dio? Boh! In quegli anni la nostra lingua madre era il dialetto e l' "italiano" era una lingua spesso, molto spesso, straniera. E poi Fonzo non poteva di certo aspettare una seconda creazione divina: aveva fa-me! Apparteneva ad una famiglia povera e mi aveva raccontato che la mamma, ogni mattina,  preparava sì qualche "colazione", ma loro erano in troppi, proprio troppi: chi si alzava  prima ne usufruiva, gli altri facevano passo. Fonzo mi voleva bene perché gli avevo regalato l'unica "Bic" nuova della sua vita, con il tappo integro, non rosicchiato. Fonzo mi voleva bene perché, ogni tanto, gli passavo, "sottobanco", un' appiccicosa caramella mou che colmava provvisoriamente le sue fasi ipoglicemiche ed ipoaffettive.
Quel giorno che "vennero in tre", il segretario tirò fuori un foglio e cominciò a declamare dei cognomi. Uno alla volta, alcuni nostri compagni raggiunsero mansueti la cattedra. Qualcuno bisbigliò che essi sarebbero andati in un'altra
aula: erano troppo vivaci e disturbavano la "quiete", il buon andamento di una
classe modello ( forse di una scuola di classe?!). Quel giorno correva l'anno 1866, pardon 1966, cento anni avanti alla pubblicazione del mitico, deamicisiano "Cuore"…eppure vennero e vennero in tre.                                                          
Ad un certo punto, nell'aula, improvviso ma assolutamente previsto , riecheggiò il cognome di Fonzo… ma Fonzo non si mosse
Il cognome fu ripetuto, questa volta con più enfasi… ma Fonzo non si mosse. Egli mi guardò negli occhi e mi tranquillizzò: "Io nun' me ne vac', io rest' cu' ttè!" I due bidelli, allora, ad un cenno perentorio del segretario, avanzarono gagliardi verso di lui.
Fonzo repentinamente si attaccò al banco, lo abbracciò come un cobra, cominciò a gridare come un forsennato. " Iatevenn', ricchiun', iatevenn'!" esclamò un' ultima volta… Fonzo non si mosse, fu portato via.
Io rimasi solo, in quel vecchio banco monoblocco, ma solo fisicamente:
con la fantasia di bambino,quel giorno, e per qualche tempo,seguii Fonzo… Nella realtà, invece, lo vidi, solo qualche altra volta, nel grande corridoio della scuola; lo vidi ancora, poi, qualche anno dopo, con un fisico da Silvester Stallone, mentre scaricava brontolando un camion. Poi, non lo vidi più.Un giorno, su un quotidiano, lessi che lo avevano arrestato: non ricordo dove e perché. Ricordo, invece, molto bene, che nel catturarlo i gendarmi, pardon i carabinieri, avevano imprecato il suo cognome ma…Fonzo non si era mosso, era stato portato via! Chi si muove o si muove troppo nella vita, è un perdente…parola di bradipo!
Ah dimenticavo! Ogni riferimento a persone, fatti o luoghi è assolutamente casuale: non è mai esistita una scuola elementare "De Amicis", io e un certo Fonzo non l'abbiamo mai frequentata, lui non è stato mai "deportato" o arrestato e, ancora adesso, nel 2007, nello spirito della nostra avanzata democrazia, nelle scuole, di ogni ordine e grado, le classi vengono composte
con un meticoloso sorteggio degli alunni!?

03/03/2007                                                                                                                        IL PASSO DEL BRADIPO


DUE ALBERI OLTRE IL MURO    di Enzo Faenza

                      
Per un solo motivo vorrei tornare ad essere bambino: per lavarmi, ancora una volta, il viso, con i petali di rosa, la mattina della festa della Ascensione! La nonna contadina riempiva d'acqua un bacile e vi faceva cadere dentro tanti petali di una rosa appena colta. Noi nipoti allora, a turno, a mani unite, con gli occhi chiusi, attingevamo quella miscela miracolosa. L'acqua gelida, l'odore di rosa, i petali bagnati che s'attaccavano alla pelle: una strana sensazione percorreva il nostro corpo e la nostra anima…fin quando non riaprivamo gli occhi…Subito ci riappariva la nonna sorridente, appagata per averci fatto ricongiungere alla natura…con quel semplice, antico, gioioso rito!
Ora che brancolo in questo presente fatto di città, fatto di cemento ad ogni lato,
dove un odore di "torrefazione" proveniente dalla zona industriale mi costringe ad amletiche riflessioni (appìlo o non appìlo? That's is the question!); ora che, pur guardando, toccando, ascoltando bradipamente, mi capita di scambiare il cinguettio degli uccelli con lo scarico del W.C. dell'inquilino del piano di sopra …ora come potrò ancora "ricongiungermi"? Come potrò mai annullarmi, confondermi con una natura che ormai mi, e forse vi, sfugge? Non stiamo forse dimenticando ogni sensazione "naturale"? La pioggia che può bagnarci i capelli e scivolarci sul viso, il suono malinconico del vento, il dolore improvviso e rapido della puntura di un'ortica, il silenzio assoluto di un bosco, un cielo illuminato solo da stelle. Mi sconcertano, pertanto, coloro che predicano di voler "riqualificare" la litoranea di Eboli (quella di Battipaglia, in tutto tre o quattro pini, sta aspettando pazientemente una minzione, collegiale e mirata, del nuovo sindaco e della nuova giunta per l'eufitotanasia) ora che, dopo l'abbattimento delle case abusive, è quasi tornata alla purezza originaria, ad uno stato che ne fa nuovamente un "luogo" della natura! Lasciamola così questa litoranea, "abbandoniamola" a se stessa: lasciamo che gli alberi e gli animali che vi vivono si riproducano, si moltiplichino selvaggiamente insidiando anche ciò che noi, nel passato, abbiamo costruito…distruggendo. Torniamo ad una pineta, ad una spiaggia, a un mare "liberi"! Purtroppo, però, si può solo sognare…o aspettare… aspettare, qualche millennio ancora, che si realizzi l'antica tesi platonica che si occupino di politica i "filosofi" più che gli edili e i dentisti. O no!? O forse qualcuno si è già liberato, è riuscito a saltare il "muro"? Ebbene sì, due esseri viventi ci sono già riusciti, a Battipaglia, in via Domodossola. Sono due "verdi", due giovani, forse figli del vento, due splendidi pioppi. Sono nati e cresciuti in un prato abbandonato, oltre il muro della "nuova" villa comunale.   Questi alberi nessuno li ha piantati, nessuno ne ha mai avuto cura. Se non la pioggia, se non il sole: se non la natura! Sono lì…silenziosi…forse a chiarirci quanto, quanto siamo idioti a credere di poter limitare, recintare con fili spinati, muri, barriere di ogni tipo, piante, animali, fiumi e spesso anche…i sogni e le idee di altri uomini.                                               

IlBradipo
Avanti
Pagina iniziale