La pizza tra '700 e '800.
Ma é tra ‘‘700 e ‘‘800 che la pizza si afferma sempre più come uno dei piatti della cucina napoletana preferiti del popolo. Nel ‘‘700 la pizza viene confezionata in forni a legna per essere quindi venduta per le strade e i vicoli della città: un garzone di bottega che portava in equilibrio sul capo la stufa, recava direttamente agli acquirenti le pizze, già confezionate con diversi ingredienti e condimenti, dopo averli avvisati del proprio arrivo con sonori e caratteristici richiami. A cavallo tra il '700 e l'800 comincia ad affermarsi l'abitudine di gustare la pizza anche presso questi forni oltre che per strada o in casa, segno del crescente favore che incontrava questa vivanda entrata ormai a pieno titolo nell'alimentazione del popolo napoletano: nasce la pizzeria nella forma che noi conosciamo e vanno definendosi anche le caratteristiche per così dire "fisiche" e "ambientali" della pizzeria quale noi la conosciamo. Il forno a legna, il bancone di marmo dove viene confezionata la pizza, lo scaffale dove sono in bella mostra gli ingredienti che andranno a comporre le differenti varietà di pizza, i tavoli dove gli acquirenti la consumano, l'esposizione esterna di pizze vendute ai passanti: tutti elementi che si ritrovano tuttora nelle pizzerie Campane.si incomincia, se non a mangiare, a distinguere in modo particolare la pizza, a Napoli, prima che spicchi il suo volo nel mondo. E la rossa pizza di pomodoro é anche quella che ridà interesse, e richiama l'attenzione su tutte le altre pizze, tra le quali le prime probabilmente erano state quelle con aglio e olio a crudo, o a cotto, quella con mozzarella e acciughe salate, quella coperta di pesciolini minutissimi, detti cicinielli, che sembra anche una delle più antiche. E ancora si parla di una pizza ripiegata a libretto che forse era una sorta di calzone, col suo ripieno. I primi forni erano rivestiti di mattoni refrattari e il fuoco alimentato a legna. In seguito, fu considerato ideale il forno rivestito all'interno addirittura con lapilli vesuviani, più adatti ancora dei mattoni a toccare l'alta temperatura richiesta e ad ottenere le migliori pizze. Artisti e scrittori famosi descrissero la pizza; D'Annunzio, scrisse i versi di una delle più stupende canzoni napoletane: A vucchella. Salvatore di Giacomo, ha dedicato alla pizza più volte i suoi versi. Del resto sono tanti i poeti, gli scrittori, i musicisti che in epoca moderna alla pizza hanno dedicato qualche favilla del loro ingegno e del loro estro. Se ne occupò anche estesamente il padre dei Tre Moschettieri, Alessandro Dumas, nel corso di una serie di suoi scritti di viaggio: una sorta di servizi di inviato speciale, raccolti nel "Corricolo". Dumas mise insieme, sulla pizza, osservazioni acute e informazioni cervellotiche. Scrisse, ad esempio, che "la pizza é una specie di schiacciata come se ne fanno a St. Denis: é di forma rotonda, e si lavora con la stessa pasta del pane. A prima vista é un cibo semplice: sottoposta a esame, apparirà un cibo complicato. Aveva ragione, e quel riferimento alle schiacciate di St. Denis ci conferma che una sorta di pizza é cibo universale: mentre un certo modo di cuocere e di guarnire il disco di pasta é invece tutto napoletano, ed é quello che ha conquistato il mondo. Dumas ricordava anche i vari tipi di pizza: i più comuni, quindi, nella prima metà del XIX secolo; e cioè all'olio, al lardo, alla sugna, al formaggio, al pomodoro, ai pesciolini (i cicinielli, appunto). E dichiarava, tranquillamente, che c'era anche una sorta di pizza detta "a otto" che si cucinava una settimana prima di mangiarla. Aveva preso una grossa cantonata, la pizza a otto, istituzione rimasta a lungo, forse ancora in auge ai nostri giorni, voleva dire che la pizza si mangiava subito ma si pagava a otto giorni di distanza, anche se questa facilitazione costava in vero un qualche sovrapprezzo. Finalmente, si parla molto di pizza anche in una celebre opera "Usi e costumi di Napoli" di un autore di nome francese: il De Bourcard, che però era del tutto napoletanizzato e che si valeva comunque dell'aiuto di un superesperto - diremmo oggi - il cavalier Emanuele Rocco. Siamo verso la metà del XIX secolo, ormai, verso il 1850, cito dal testo: "La pizza non si trova nel vocabolario della Crusca, perché si fa col fiore (di farina) e perché é una specialità dei napoletani. Prendete un pezzo di pasta (da pane), allargatelo o distendetelo col matterello o percuotendolo con le palme delle mani, metteteci sopra quanto vi viene in testa, conditelo di olio o strutto, cuocetelo al fuoco, mangiatelo, e saprete che cosa é la pizza. Le focacce e le schiacciate sono alcunché di simile, ma sono l'embrione dell'arte". Poi anche questo testo enumera le varietà di pizza più in uso: e sono quelle con aglio e olio, a cui si aggiungono origano e sale; con formaggio grattugiato, strutto, basilico; oppure con pesce minuto; altre ancora con mozzarella, con prosciutto, arselle; e compare, ma non in funzione di primaria importanza, il pomodoro. Così arriviamo alla fine del secolo, con un episodio celebre, che bisogna pur raccontare nei suoi veri termini. Siamo, esattamente, nel 1889. Quella estate il re Umberto I con la regina Margherita la trascorsero a Napoli, nella reggia di Capodimonte, come voleva una certa regola della monarchia, per fare atto di presenza nell'antico regno delle due Sicilie. La regina era incuriosita dalla pizza che non aveva mai mangiato e di cui forse aveva sentito parlare da qualche scrittore o artista ammesso a corte. Ma non poteva andare lei in pizzeria, la pizzeria andò da lei; utilizzando i forni delle cucine reali, gli furono preparate le pizze, una con sugna, che é una sorta di strutto, formaggio e basilico; una con aglio, olio e pomodoro, sia di una terza con mozzarella, pomodoro e basilico, cioè con i colori della bandiera italiana, che entusiasmò in particolare la regina Margherita, e non solo per motivi patriottici. Fù questa l'occasione per cui si chiamò questa pizza alla Margherita. Poi la storia si riseppe anche fuori Napoli, e la pizza alla Margherita si diffuse, furoreggiò un po' dovunque. E questa é storia vera; solo che la pizza alla margherita o pizza margherita, come si incominciò a chiamarla, passava per una novità, una invenzione vera e propria, mentre si sa che esisteva già prima. Non era considerata tra le più classiche e importanti, però a Napoli si faceva già. Per esempio, per un'altra regina, la borbonica Maria Carolina, che di pizze era ghiotta, tanto che aveva voluto a corte, nel palazzo di San Ferdinando, un forno apposito. Carolina amava molto quella pizza bianca, rossa e verde; ma forse, se avesse potuto immaginare che quelli sarebbero stati i colori dell'Italia unita sotto un'altra dinastia, che avrebbe cacciato la sua, non ne sarebbe stata più tanto entusiasta. Certo é che la margherita ha contribuito non poco a diffondere la pizza napoletana prima nel nord d'Italia e poi ovunque nel mondo. Le due pizze che hanno fatto più strada sono la cosiddetta napoletana, uguale alla margherita ma con l'acciuga; e la stessa margherita. Però storicamente, l'abbiamo visto, altre precedono e vantano patenti di nobiltà, di autenticità partenopea. Tutto questo, beninteso, senza prese di posizione in un senso o nell'altro: le pizze ormai sono di tantissime specie, e sono tutte entusiasmanti.