LA CAPERA

La capera è una giovinetta popolana, per lo più nubile e aggraziata, giacchè la giovinezza e la bellezza sono pregiudizi a favore del gusto. E una capèra senza gusto è come un poeta senza estro o un romanziere senza immaginazione.
La capera quasi sempre si chiama Luisella, Giovannina, Carmela, ella veste sempre con molta ricercatezza, ma in particolare il suo capo deve essere una specie di mostra, di campione, di modello non per le donne popolane ma per quelle di civil condizione.
Il compenso che riceve la capera varia a seconda della qualità e condizione delle sue clienti ella riceve da tre carlini fino a trenta carlini o tre piastre al mese. Qualche capera si vede già per le vie della città con cappellino, guanti e ombrellino. Ella si riconosce tra un crocchio di giovani donne. Eccola, è la più alta, la più svelta, la più elegante, il suo capo è il meglio acconciato, i suoi vestiti i più eleganti i suoi piedi i meglio calzati. Ella parla sempre, conosce i fatti di tutti, ed è specializzata in materie amorose.
La capera è l'amica più confidente delle donne che hanno varcato i trent'anni, ed il motivo è chiarissimo. A questa età cominciano ad insinuarsi nelle chiome annunzi dell'autunno della vita. Ogni anno che la capèra fà sparire dall'atto di nascita (ringiovanire) delle sue clienti ne guadagna in prestigio. Il suo genio consiste nel saper nascondere i difetti che l'età adduce sulle loro teste. Qui un gruppetto di fili d'argento che ella fa sparire, o un trucioletto ribelle che ella deve mettere a posto. La capera provvede a tutto, qua impinza, là toglie, là imbruna, giù allustra, là gonfia, qui sgonfia, le sue mani fanno prodigio; e dieci quindici anni spariscono sotto le sue dita



LO SCRIVANO


  All'ombra del portico che decora l'ingresso di alcuni dei nostri teatri, la dove la spessezza dei pilastri offre riparo dal vento e dalla pioggia pochi uomini di sparuto aspetto e con abiti gretti e cenciosi siedono davanti un vecchio tavolo, che contiene qualche foglio di carta, uno sporco calamaio ed un piccolo peso che impedisce alle poche carte di volare via al soffiare del vento.

Questi uomini molto pazienti si rendono gli interpreti degli affetti, le ire e le passioni degli analfabeti. Il suo stile nello scrivere è molto semplice, ama la brevità, non cerca mai modi eleganti per manifestare ciò che pensa il suo vicino, egli è chiaro ed originale. Lo scrivano ha pure la sua tariffa col prezzo dei suoi lavori, cominciando dalla supplica in carta semplice fino al volume di cento pagine, lo scritto alla spagnuola è il vero culmine della sua arte.
Lo scrivano è l'interprete di tante passioni, è il depositario dei palpiti altrui, delle amarezze delle giovani fanciulle povere e onorate che per mancanza di istruzione debbono molte volte arrossire raccontando i propri segreti













IL LUSTRASCARPE


Il pulizza stivali con la sua cassetta che contiene tutti gli attrezzi per il suo mestiere che consistono in vari tipi di spazzole, del lucido, e anelina nera e marrone. Il suo posto è quasi sempre vicino ad un caffè dove ci sono la maggior parte dei sui clienti, quasi sempre sono in due che con le loro cassette si dividono gli avventori.
Iniziano la loro attività verso le sette del mattino e restano fino alle otto di sera, e quando uno si allontana per potersi mangiare qual cosa l'altro resta sul posto e custodisce la cassetta dell'altro, molte volte si uniscono e alla sera si dividono il misero guadagno che hanno fatto durante il giorno.

Quando il pulizza stivali si accinge all'opera, egli si impadronisce del vostro piede , lo pone sullo zoccolo di legno rialzato sulla sua cassetta, prima lo accarezza e ne toglie il fango e la polvere, lo unge con un poco della sua mistura, e poi si pone al lavoro dello strofino. Terminato di pulire un piede, egli da un colpo di spazzola sulla cassetta, e vi comanda così tacitamente di adagiare sullo zoccolo l'altro piede per procedere alla somigliante operazione. Lui invita i passanti dicendo pulizzamm pulimm; ma nelle giornate di pioggia egli guarda malinconica le scarpe dei passanti senza dare il suo invito ,rendendosi conto che sarebbe inutile.















L’ARROTINO


L'apparenza inganna, e l'abito non fa il monaco, se per caso pensaste che quella macchina dell'arrotino fosse poca cosa, come sembra, quel grido prolungato, ammola-forbici non fosse che una voce volgare, v'ingannereste.
Che studio, che meditazione, che sapienza in quell'uomo con la sua modesta macchina! Esaminiamo la macchina del nostro arrotino.

Viene su dal centro un legno, a questo è attaccata una secchia di latta, mezza logora e sudicia, di forma circa di una fiaschetta, nel collo si introduce l'acqua, la quale cade giù, goccia a goccia, sull'orlo della ruota di pietra, per via di un tubicino che parte dal mezzo della secchia, frenata da un fil di ferro.

Passa per il centro della ruota di pietra, collocata tra due aste principali verticali, un asse rotonda di ferro, mossa da una vicina carrucoletta, su cui si avvolge un cordicella, legata alla grande ruota di legno. Un'assicella sull'estremità dritta della macchina è mossa da una grossa puleggia, che termina ad un ferro, presso a poco a forma di girella, il quale fa volgere l'asse della ruota. Così l'arrotino, agitando col piede questa assicella, gira la ruota principale, e con essa, in conseguenza, la carrucoletta e la ruota di pietra.