Nel 1927 viene assunto nella Compagnia di Vincenzo Scarpetta , occupando il posto del fratello Eduardo passato alla Carini-Falconi.In seguito i due fratelli , grazie anche a Michele Galdieri ,propongono "La rivista che non piacerà" riscuotendo buon gradimento.Il 10 ottobre 1929 sposa Adela Carloni,e l'anno dopo nasce il figlio Luigi.
Eugenio Aulicino impresario del teatro Nuovo di Napoli , assume i due fratelli al posto di Totò ,nel teatro gia' lavora Titina e i tre danno vita ad una formazione artistica denominata "Il teatro umoristico napoletano di Eduardo De Filippo con Peppino e Titina" , vi fanno parte anche Tina Pica ,Carlo Pisacane ,Agostino Salvietti e Giovanni Berardi.
Questa maschera di Peppino nasce nel 1966 durante la trasmissione televisiva del sabato " Scala reale " .Peppino dopo le prime puntate sentendosi piuttosto a disagio nei panni di semplice presentatore,ritrovo' nella memoria un personaggio creato molti anni prima nella commedia "I casi sono due" ,il cambio dei dati anagrafici (nella commedia il personaggio si chiamava Gaetano Espositi),il ritocco dei connotati ed ecco Pappagone fenomeno televisivo degli anni sessanta.Il personaggio ebbe talmente tanto successo da diventare l'ultima maschera italiana ,con un suo linguaggio colorito e pieno di neologismi che subentro' nel linguaggio comune per quel periodo.Alcuni suoi tormentoni furono :"ecque qua" , "anzio" , pirichè" , gnorsì" , "tante esequie"


Mi chiamo Pappagone,
sono un grande ignorantone.
Quando parlo l'italiano
non si sa se son siriano,
turco, russo, oppure che...
e vi dico il piriche':
Quando al mondo son venuto
il cervello s'e' perduto.
Una lingua mal creata
la favella m'ha 'nguajata.
Sulla testa i miei capelli,
sempre ruvidi e ribelli,
sull'occipite un riccetto
fa piu' stupido il mio aspetto.
Si lo so che sono fesso,
ma felice son lo stesso.
Gia' che al mondo ci si viene
una volta, allor conviene
che la vita te la spassi
senza misurare i passi.
Se vuoi vivere felice,
non sentir quel che si dice.
Fai lo scapolo e vedrai
sempre libero sarai.
Se vuoi star di buon'umore
non recarti dal dottore
puoi curar le malattie
sempre stando in allegria.
Chi di solito si lagna
la scalogna l'accompagna.
Se vuoi farti molti amici,
fatti prima assai nemici.
Ti diran che sei sincero
solo se non dici il vero.
Non uscire con l'ombrello
quando fuori il tempo e' bello.
Quando scoppia il temporale,
mangia pepe, pane e sale...
Piu' la rima non mi viene
e finire mi conviene.
Questa storia, si capisce,
non aiuta, ne istruisce.
E' servita solamente
per sentirci allegramente.
Ora fo' corna e bicorna
ed a casa me ne torno.
Pappagone se ne va
ripetendo ecque qua!
Pappagone
“Equequa!”
“Sono scorfano di padre e di madre”
Chitarrata d'ammore


Nannina tene 'o core 'nfus' 'o ffele,
nun fa 'na cosa si nun me fa male.
Pure pe cchesto 'a voglio bene assaje
ca nun m' 'a putarraggio maje scurdà.

'A cunuscette dinto primmavera
quanno 'o solo è lucente comme a ll'oro
e comme a ll'oro dint'a ll'uocchie tene
'na luce ca te struje e te pò cecà!

Si m'hadda da' 'nu vaso sulamente
me 'o dà cu 'nu mussillo amaro e astrinto
ca me turmenta e nun me sazia maje
j'e desiderio me fa spantecà!

Tene 'e capille nire e anelle anelle...
'na faccia delicata 'e madunnella,
ll'uocchie curvine e 'na vocca 'e curallo
ca 'n'ata eguale nun se pò truvà.

Capisco quanno dice 'na buscìa
e quanno pe' dispietto è 'nfama assaje,
ma è tanta 'a frennesia 'e vulerle bene
ca si m'accide bene me farrà!

Comme te dà 'na gioia te dà 'na pena,
e sape vulé male e vulé bene.
Ma si doce te guarda e t'accarezza
te dà 'o calore d' 'a felicità.

Si sulo m'hadda di' ca me vò bene
primma m' 'o ddice e doppo m'avvelena
cu 'nu dispietto o pure nu' capriccio
ca 'o core me fa chiagnere e penà.

E' 'ntussecosa, sì, ma quanno dice
"Te voglio bene"... allora so' felice.
Allora 'a gioia me trase 'int' a 'stu core
pure si nun ha ditto 'a verità.

E' tanto capricciosa ca 'nu sciore
'e vvote 'a fa felice... e pe' 'nu mare
'e bene e de ricchezze è indifferente
e 'o core te fa strujere e 'mpazzì.

Ma quanno 'a tengo stretta 'int'a 'sti bbracce
e ca me vasa e m'accarezza 'a faccia...
nun ce stanno puntiglie né capricce
che 'a dint' 'o core m' 'a ponno levà!
Filastrocca di "Gaetano Pappagone"
Don Rafele 'o trumbone

Una farsa tragi-comica napoletana in un atto scritta da Peppino de Filippo nel 1931.
Raffaele Chianese, compositore, maestro di trombone, vive in una casa-negozio di musica nella miseria più totale assieme alla moglie Amalia ed alla figlia Lisa: da due anni infatti è disoccupato, e tutto per il suo carattere visionario e refrattario a nuove visioni della vita che non siano le sue. Raffaele vive per la musica e non c'è verso di fargli cambiare idea: persino l'ultimo posto di lavoro offertogli dal suo migliore amico, il compare Giovanni, è stato da lui rifiutato. Quel giorno è un giorno importante: Raffaele deve andare a suonare ad un matrimonio nel pomeriggio, dopo un ennesimo insuccesso alla Federazione, dove gli hanno detto che non c'è lavoro per lui. Sembra andare tutto bene fino a quando non entra con fare minaccioso Nicola Belfiore, concertista e collega di Raffaele, che gli porta una cattiva notizia: lo sposo è morto per una paralisi cardiaca. Il concertista, che da tempo aveva il sospetto che Raffaele abbia qualche sorta di potere che lo porta a portare sfortuna a chiunque gli capiti a tiro, vuole smetterla di fare affari con il trombone e gli dice che da quel giorno ognuno se ne andrà per la propria strada. In quel momento, entra il compare Giovanni raggiante: ha trovato un'offerta di lavoro per Raffaele. Un'offerta veramente da prendere al volo: vigilante del personale nel lanificio di proprietà di un commendatore suo amico. Raffaele fa una smorfia: per lui, è un lavoro da "spione", come lui stesso definisce. Dopo che il compare gli ha spiegato in cosa consiste e le condizioni di stipendio, Raffaele ci pensa su: ha infatti in mente di andare, prendere lo stipendio d'anticipo che gli daranno al momento dell'assunzione e dileguarsi nel nulla. Al sentire questo, il compare se ne va. Prima però lo mette in guardia: se si farà sfuggire anche quest'occasione, lui non saprà più dove e a chi rivolgersi. Sembra che vada tutto per il meglio, quando ad un certo punto entrano in negozio alcune persone, molto ben vestite. Raffaele teme siano agenti delle imposte, ma subito il più ben vestito di loro dice di chiamarsi Alfredo Fioretti e di essere un compositore. Fioretti tenta Raffaele con delle proposte molto vantaggiose: da anni, infatti, egli è in Italia inoperoso e gli serve qualcuno che lo segua nei suoi concerti in giro per il mondo. Raffaele sembra essere la persona adatta per questo incarico. In un primo momento Raffaele sembra incerto: come farà con la moglie e la figlia? E con i documenti? Fioretti dice che penserà a tutto il suo segretario, Attilio Gargiulo. Nel frattempo Luigi Fioretti, fratello di Alfredo, illustra a Raffaele tutto ciò che faranno: andranno in Francia, Germania, in Africa, in ogni angolo del mondo. Raffaele chiede informazioni sul denaro. Fioretti, per tutta risposta, gli dà un acconto di ben diecimila lire. Raffaele e la moglie Amalia quasi svengono: mai avevano visto tanti soldi messi insieme in un colpo solo. Entra di nuovo il compare Giovanni. Raffaele lo tratta a pesci in faccia, sventolandogli in faccia i dieci biglietti da mille lire datigli da Fioretti. Giovanni non capisce il perché di quel rifiuto e quando Amalia tenta di spiegargli tutto, viene interrotta bruscamente da Raffaele. Alla fine Giovanni, offeso ed umiliato, decide che Raffaele è un pazzo, un malato e che mai più si interesserà dei suoi guai. Uscito il compare sbraitando, Fioretti guarda l'orologio. È tardi: ha un appuntamento con l'ambasciatore di Spagna per una cena. Perciò esce, accompagnato dal fratello e dal segretario. Raffaele ed Amalia sono felici: i loro guai sembrano essere finalmente finiti. Entra di nuovo Luigi, che si riprende i cinque biglietti da mille lire e spiega a Raffaele come stanno veramente le cose: Alfredo Fioretti è in realtà un pazzo, ultimo discendente di una famiglia molto ricca, che si crede un grande musicista. Quelli che si erano presentati come Luigi Fioretti e Attilio Gargiulo sono in realtà i due infermieri che lo accompagnano nella sua passeggiata giornaliera. Alfredo fa sempre così: è pazzo, e "occorre compatire". Quanto al denaro, era solamente carta straccia. Luigi si scusa per il disturbo arrecatogli e se ne va come se niente fosse. E Raffaele ed Amalia tornano quindi a vivere nella più completa miseria.
Peppino
de
Filippo
Nasce a Napoli il 26 agosto 1903,fino all'età di cinque anni vive a Caivano con la balia , poi nonostante qualche sua resistenza ritorna in famiglia . A sei anni debutta in teatro al Valle di Roma , in "Miseria e nobiltà" di Scarpetta , nella parte di Peppeniello , il figlio di Felice Sciosciammocca.
Studia pianoforte , e continua a recitare in modo saltuario.Quando la madre seguira' Titina nella sua prima tournee,vivra' per due anni nel Collegio Chierca.Durante la prima guerra mondiale lavora a Napoli con Vincenzo Scarpetta,nel 1920 entra nella compagnia di prosa Molinari (dove conosce Totò) , al Teatro Nuovo,lavora poi con la compagnia dialettale di Francesco Corbinci al Teatro Partenope.
All'età di 22 anni viene scritturato nella compagnia di Salvatore De Muto , l'ultimo Pulcinella.Dopo la morte di Eduardo Scarpetta , padre naturale dei De Filippo che sosteneva anche economicamente , Peppino e' costretto per necessità ad accettare di lavorare in compagnie precarie.
Nel '31 si danno un nuovo appellativo "Compagnia Teatro Umoristico I De Filippo" .Nel '32 i De Filippo sono al Sannazzaro di Napoli con "Chi è cchiù felice 'e me" di Eduardo e con "Amori e balestre" di Peppino.Nello stesso anno Peppino interpreta il suo primo film "Tre uomini in frak".Segue un'epoca d'oro in cui i tre fratelli ottengono successi in tutti i teatri italiani,poi il 10 dicembre 1944 al teatro Diana di Napoli la "Compagnia Teatro Umoristico I De Filippo" si scioglie per incomprensioni tra Eduardo e Peppino.
Quello stesso dicembre Peppino è al Teatro IV Fontane di Roma con "Imputato alzatevi" e "Non sei mai stato così bello" . Nel '45 si separa dalla moglie , e debutta con la sua nuova Compagnia a Milano , al teatro Olimpia, con "I casi sono due".Gira in lungo e in largo l'Italia con "Quelle giornate" che per due stagioni consecutive avrà ben 266 repliche.Dal 1959 al 1969 gestisce il Taetro delle Arti a Roma. Nel 1971 scompare Livia Maresca ,sua compagna d'arte e di vita. Nel '77 sposa Clelia Mangano , sua partner in compagnia.

Peppino vanta successi in tutto il mondo : nel '56 è in tournee in Sud America e Spagna; nel '63 è a Parigi dove riceve un premio per la sua opera "Le metamorfosi di un suonatore ambulante"; nel '64 e' ospite a Londra dell'Aldwich Theatre ; nel '65 è a Praga e in Unione Sovietica ; nel '66 è in Jugoslavia e in Svizzera ; nel '69 in Portogallo , Spagna e Francia ; nel '74 ritorna a Londra.

Popolarissimo attore di cinema e grande protagonista della televisione che propone molte sue opere; nel '66 a "Scala Reale" (Canzonissima) propone con enorme successo il personaggio di Pappagone.

Peppino scompare il 26 gennaio 1980.