Libero Bovio non fu solo un grande poeta: fu il più grande poeta della canzone napoletana. Se Salvatore Di Giacomo - sempre concentrato su se stesso - scrisse versi ch'erano già musica, difficili da rivestire di note, il più generoso Bovio vergò rime altissime eppure ben adatte a favorire il lavoro del compositore. Ecco il segreto dell'armonia.
Il talento di Bovio spuntò all'inizio del Novecento e alla fine del ventennio d'oro della canzone, quando si dava per morta questa straordinaria espressione di arte popolare. Salvò la canzone, la tenne in vita, la riformò. Fu uno dei tanti modi in cui onorò la lezione del padre Giovanni, filosofo della democrazia ed esempio perduto di moralità nella vita pubblica e privata.
Il suo genio lirico e ironico, straripante e pudico, dominò su un ambiente gonfio di retorica, grondante lacrime. Sua una frase meravigliosa: "L'aggettivo è il solo responsabile di tutte le nefandezze umane". Avendo avuto il dono di farsi capire e di farsi amare dal popolo, riuscì ad abbinare chiarezza e cultura: un democratico, come il padre.
Lligi Pirandello scrisse alla moglie di Bovio, Maria, che Silenzio cantatore valeva quanto i suoi Sei personaggi in cerca d'autore. Napoli non ha reso a Bovio altrettanto onore, ma lui se l'aspettava: "Napoli tutto tollera e perdona tranne l'ingegno" annotò, beffardo.
L'immerse senza paura negli umori della città e li sorvolò. Al tempo della guerra, pur senza diserzioni, in 'A guerra e Canzone 'e surdate cantò la vera faccia del fronte: lutti e dolore. Al tempo degli emigranti, quando tutti cantavano di lontane nostalgie, lui diede invece corpo alla sofferenza e all'ingiustizia: I'so' carne 'e maciello: so' emigrante poetò in Lacreme napulitane.
Perfezionista, sceglieva i musicisti e i cantanti delle sue canzoni. Dopo, troppi gli hanno fatto torto, interpretando ad esempio con un sorriso Guapparia, che all'opposto è il dramma di un uomo e di un ambiente. Troppi hanno ritenuto Zappatore soltanto una sceneggiata, mentre, all'opposto, è la denuncia, in tre minuti, della fine del mondo contadino, è la folgorante percezione dell'affiorante egoismo - del consumismo - da cui sono avvolti i nostri giorni.
"Per fare una buona canzone nce vo' nu fatto dinto" diceva, ma la concretezza dell'ispirazione mai frenò la limpidezza di una vena straordinariamente ampia.
Fu tra i creatori della canzone italiana, Reginella, Signorinella. Dimostrò possibile far teatro napoletano d'arte senza risate sguaiate o singhiozzi impudichi. Scrisse epigrammi strepitosi. Tutta la sua vita, tutta la sua arte, fu leggerezza. Prendete un episodio minimo, la corte fattagli dall'attrice Dirce Marella. A un biglietto della signora - "Inseguimi, sono l'ombra" - rispose "Non posso, tengo i calli": era il modo di sdrammatizzare un rifiuto, perfino elegante nell'apparente prosaicità.
In quel salotto di via Duomo il figlio Aldo conserva linee di un pentagramma di Pietro Mascagni che, al pianoforte di casa, abbozzò un inno al lavoro e chiese a Bovio di apporvi versi. Don Liberato scrisse: "O lavoratore, sii benedetto / quanno te stienne 'ncoppa a nu lietto". Due versi, una lezione di solidarietà per chi fatica, svestita di ogni retorica. Grande, grandissimo.